«Il
partire per il deserto, o verso terre straniere era, un tempo, un fuggire dalle
città cristiane dove la fede rischiava di rinchiudersi su se stessa,
comodamente seduta su certi poteri e certi sistemi; è l’inizio di un viaggio
verso paesi, linguaggi e culture in cui Dio parla una lingua non ancora
decodificata e non registrata. Il partire destina il pellegrino alla
sorpresa. Traduce, geograficamente e socialmente, la
certezza che Dio è l’incomprensibile senza il
quale, tuttavia, è impossibile essere cristiani e uomini. Una solidarietà della
fede lega a questo sconosciuto. Questo estraneo non cessa di essere (nel senso amoroso del
termine) colui che manca ai
cristiani.
Lo
stesso avviene per l’esperienza spirituale. Una tradizione, fra le tante, lo
mostra: la xeniteia, lo
«sradicamento». Questo movimento che consiste nel partire per altrove, come
Abramo, «senza sapere dove» (Eb 11,8), per udire in terra sconosciuta la parola
umana di Dio, oppure nello sperare da altrove il suo volto d’uomo in una storia
sempre sorprendente, è anche il movimento interno dell’avventura religiosa. È
il modo dell’incontro.
Due
correnti, infatti, sembrano dividersi la spiritualità cristiana: una mistica, l’altra escatologica.
La prima attesta un’unione con Dio percepito come l’essenza o la respirazione
dell’essere. La seconda esplicita il desiderio che attende Dio come colui che
verrà alla fine. Si
potrebbe credere che solamente la seconda manifesti l’estraneità di Dio. In
realtà il mistico sperimenta, nel presente dell’unione, la necessità di
perdersi: egli è preso, «rapito», si diceva in passato, cioè rubato e come
annullato nella propria soggettività da qualcosa o qualcun altro che è la sua
notte e insieme il suo necessario. È pacificato da chi gli toglie i suoi beni.
Rivive di ciò che lo divora. Anche nella prospettiva escatologica, aspirata da
un avvenire, il desiderio è l’ignoto che fa vivere già fin d’ora, l’estraneità
che ha un senso: un’esistenza è strappata a se stessa, ma da una speranza che
le conferisce la sua sussistenza attuale. Finalmente, da una parte e
dall’altra, benché sotto forme inverse, emerge quest’»Altro» che è nondimeno «la mia vita». Nell’esperienza personale,
l’Estraneo è a un tempo l’irriducibile e colui senza il quale vivere non è più
vivere».
Michel
de Certeau, Mai senza l’altro